Il mondo contadino, con i suoi ritmi legati alle stagioni e alle attività nei campi, era fortemente influenzato dalla religiosità.
Segni tangibili di questa devozione (specialmente quella mariana) sono le “Maestà”, oratori e cappelle edificate un po’ ovunque.
La riscoperta delle “Maestà” ( piccoli santuari di campagna ) e dei riti legati ad esse(esempio le Rogazioni) sono un’ occasione per avvicinarsi alla storia e alle tradizioni rurali del territorio, che si vanno lentamente perdendo.
Le rogazioni (Rogare significa pregare con insistenza, ripetutamente) erano dei riti propiziatori (processioni durante le quali si cantavano le litanie dei Santi e altre preghiere), che i fedeli facevano per chiedere a Dio, abbondante raccolto, la protezione dei campi e per tenere lontana la grandine ed altri disastri che colpivano i prodotti agricoli.
Le rogazioni procedevano sull’intero territorio della comunità, toccando i punti chiave (soprattutto le Maestà)
Si chiamano Rogazioni Maggiori quelle che si fanno nella festa di San Marco e Minori quelle che si svolgono nel triduo antecedente l’Ascensione (lunedì, martedì, mercoledì).
Ecco alcuni testi che spiegano come si svolgevano le Rogazioni in Val Gotra e in Val Taro.
dal sito http://www.valtaro.it/burgu/pagina.php?id=5&rubrica=storia&fotox=fotostoria
Mensile speciale allegato alla rivista telematica valtaronetwork.com n. 8 del 01/06/01
S’NTIS DAL BURGU Giornale telematico mensile a cura di Giacomo Bernardi
copertina
Le Rogazioni: un rito di grande significato.
A primavera avanzata, quando la stagione cominciava a mettersi al bello e la natura era in pieno risveglio, arrivava il tempo delle Rogazioni.
Ve n’erano due: una detta di San Marco che si svolgeva il 25 aprile e una seconda, che durava tre giorni di fila e si svolgeva il lunedì, martedì e mercoledì che precedevano la festa dell’Ascensione.
In quei giorni ci si alzava di buon mattino, si partiva in processione dalla chiesa e si percorreva un lungo giro per strade, sentieri e campi. Un percorso che ogni giorno cambiava, ma che si ripeteva identico ogni anno.
In testa il prete con i chierichetti e a fianco i rappresentanti delle varie confraternite con i loro stendardi, dietro donne, bambini e uomini. Pochi mancavano.
Il prete intonava litanie particolari ed il popolo rispondeva a tono con partecipata devozione. Il percorso, in ogni frazione, in ogni paese, era studiato in modo che tutto il territorio potesse, sia pure a distanza, essere visto.
Quando si arrivava in punti prestabiliti, sempre fissi negli anni, la processione si fermava. Allora il prete alzava la croce e rivolgendosi ai quattro punti cardinali(ai quatru canton) cominciava: “A fulgore et tempestate” e tutti gli altri inginocchiati a terra rispondevano: “Libera nos Domine”, mentre lo sguardo d’ognuno andava verso il proprio campo dove s’era seminato grano o melica.
Poi, in quall’aria tersa e gaia di primavera, che ancora mi sembra di respirare, altre implorazioni:”A peste, a fame et bello” e la gente sempre a rispondere: “Libera nos Domine”. E così si andava avanti per alcuni minuti in questo fraseggiare latino che tutti però capivano benissimo. Si riprendeva poi il cammino fino alla cappella, alla “mistà” o alla croce successiva. E guai se il parroco si fosse dimenticato di sostare in uno di quei luoghi tradizionali, subito i contadini interessati ai terreni che da lì si potevano vedere, lo avrebbero ripreso.
Per evitare ciò si provvedeva a collocare nei punti fissi delle semplici croci in legno che in quei giorni venivano ornate con fiori, ramoscelli d’ulivo benedetto e rami di biancospino.
Terminato il giro si rientrava, ma la processione perdeva un poco della sua concentrazione e tutti, osservando con attenzione i campi, si lasciavano andare a commenti sui lavori, sui coltivi, sull’anticipo o sul ritardo della stagione, sulle previsioni dell’annata. Al termine della Rogazione di San Marco le donne erano solite seminare fagioli e zucchini, mentre al termine di quelle dell’Ascensione s’usava andare a zappare la melica.
In molte frazioni della Val Taro si celebrano tutt’ora le Rogazioni di San Marco, approfittando della giornata ormai festiva(25 aprile). Le processioni però si limitano ad un breve giro attorno alla chiesa.(leggi tutto)
tratto dal sito Istituto comprensivo Prospero Valeriano Manara
Alla scoperta di Albareto e dei suoi dintorni
Allegato Alla scoperta di Albareto e dei suoi dintorni 10
Le Rogazioni consistevano in una processione propiziatoria attraverso i campi per chiedere la benedizione del Signore sui prodotti della terra .
Il mattino presto si andava in Chiesa dove veniva celebrata la Messa, poi si formava la processione, preceduta dal parroco, che si snodava lungo un percorso ben preciso toccando le Maestà sparse qua e là per il paese.
La Maestà era addobbata con immagini sacre, fiori e candele accese; la famiglia a cui essa apparteneva si trovava sul posto in attesa della processione e poi si aggregava ad essa.
Il parroco benediceva la Maestà, leggeva un brano del Vangelo e poi, rivolto verso i quattro punti cardinali, recitava un’orazione, benediceva la campagna chiedendo al Signore di renderla fertile, di preservarla da tempeste e parassiti, di proteggere il popolo dalla peste, dalla fame e dalla guerra.
La processione, quindi, ritornava in Chiesa cantando le litanie dei Santi e si ripeteva per quattro mattine.
Le Rogazioni si tenevano due volte l’anno: in primavera (per implorare) ed in autunno (per ringraziare).
tratto da Le principali festività religiose
LE MAESTA’ DELLA ROGAZIONI
Queste maestà si trovano nei punti più lontani ed isolati .
Erano meta della processione che si faceva durante il rito delle Rogazioni nei giorni tra San Marco e l’Ascensione.
Il rito comprendeva il canto delle Litanie dei Santi e le invocazioni. Arrivati alla maestà veniva letto un brano del vangelo (da qui l’uso di chiamare ‘‘avangelu ’’ queste maestà).
Seguiva poi la preghiera e la benedizione della campagna con aspersione di acqua benedetta. Il Sacerdote poi prendeva la croce e con essa segnava i punti cardinali, cantando in latino:
Rivolto ad oriente: ‘‘dal fulmine e dalla tempesta.”
Rivolto ad occidente: ‘‘dal flagello del terremoto”
Rivolto a meridione: ‘‘dalla peste, dalla fame e dalla guerra”. Ad ognuna delle quali, il popolo inginocchiato rispondeva: ‘‘liberaci o Signore”
Rivolto a settentrione: “ perché ti degni di donare e conservare i frutti della terra ’’ e il popolo rispondeva: ‘‘ ti preghiamo, ascoltaci” (“te rogamus”).
Le rogazioni hanno origini antichissime e corrispondono ai riti agresti pagani, che si tenevano all’inizio della primavera in onore della dea celtica Robigo e perciò erano dette “Robigalia”.
I contadini si rivolgevano a questa divinità, perché allontanasse dai campi la ruggine nera, il pericoloso parassita che danneggia le coltivazioni.
Le rogazioni risalgono, secondo antiche cronache di Francia, a Mamerto, Vescovo di Vienna ( III-IV secolo d.C.), che le introdusse nel suo territorio durante un periodo di carestia e pestilenza, per invocare l’aiuto di Dio e l’intercessione della Vergine Maria e dei Santi a favore del popolo.
La pia pratica divenne subito popolare e si diffuse in altre zone: per esempio a Roma, ai tempi di San Gregorio Magno e Leone III, a seguito delle inondazioni del fiume Tevere, delle carestie, delle invasioni barbariche o di altre sciagure.
Nel MedioEvo questo rito si estese a tutte le Chiese d’Europa.
Video: La Grande Rogazione di Asiago
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Video:Processioni e rogazioni a Trebbiano
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Video:Rogazioni 2005
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